2013/05/15

40 anni fa decollava lo Skylab, la prima stazione spaziale statunitense

di Paolo Attivissimo. Questo articolo vi arriva grazie alla donazione per il libro “Luna? Sì, ci siamo andati!" di chacmool*.

Il 14 maggio 1973 veniva effettuato dalla rampa 39A del Kennedy Space Center l'ultimo lancio di un Saturn V (foto qui accanto), che portò in un sol colpo in orbita intorno alla Terra, a 435 km di altitudine, un carico di ben 77 tonnellate: la stazione spaziale statunitense Skylab.

Il volume abitabile dello Skylab, ottenuto modificando uno stadio S-IVB derivato da quelli usati per le missioni sulla Luna, era davvero notevole per gli standard dell'epoca: la sua cubatura interna pressurizzata ammontava a circa 320 metri cubi. A titolo di paragone, l'attuale Stazione Spaziale Internazionale ha un volume pressurizzato di 837 metri cubi, che però ha richiesto anni di assemblaggio graduale.

Nove astronauti ne fecero la propria casa nello spazio nel corso di tre missioni, partendo dalla rampa 39B a bordo di vettori Saturn IB: Pete Conrad, Paul Weitz, Joseph Kerwin (28 giorni); Alan Bean, Jack Lousma, Owen Garriott (59 giorni); Gerald Carr, William Pogue, Edward Gibson (84 giorni).

Il lancio della stazione non andò particolarmente bene. Lo Skylab fu gravemente danneggiato durante l'arrampicata verso lo spazio. La protezione termica e contro i micrometeoroidi e uno dei due grandi pannelli solari principali risultarono divelti e inservibili, mentre il secondo pannello solare principale restava chiuso per via di una cinghia difettosa, facendo surriscaldare l'ambiente interno e privando la stazione dell'energia necessaria per il funzionamento.

Foto dei danni allo Skylab, scattata dall'equipaggio della missione Skylab 2 prima dell'attracco.La struttura bianca è il braccio contenenente un pannello solare, trattenuto da una cinghia che si sarebbe dovuta sganciare.


Soltanto l'intervento degli astronauti, pianificato dal nulla in soli dieci giorni e realizzato da Conrad e Kerwin tramite una rischiosa passeggiata spaziale (la prima grande riparazione in orbita), salvò la stazione collocando un parasole improvvisato in fretta e furia e sbloccando fortunosamente il pannello solare principale restante. Quest'intervento senza precedenti permise agli equipaggi di svolgere su Skylab un ricchissimo assortimento di esperimenti scientifici.

La configurazione prevista per lo Skylab. In realtà uno dei pannelli solari rettangolari fu divelto.
Notare il refuso “Appollo”, assente in altre versioni della stessa immagine.

Secondo due articoli di The Space Review (uno; due) e un documento NASA (NASA/CR-2011-216468, Lessons Learned in Engineering, di Blair, Ryan e Schutzenhofer, 2011) c'è un dettaglio che fu tenuto segreto all'epoca: quando risultò dalla telemetria che lo Skylab era in pessime condizioni, il National Reconnaissance Office (NRO) usò un satellite spia della serie Gambit per fotografare il laboratorio orbitante e aiutare la NASA nel valutare i danni e pianificare la riparazione.

Va detto, a questo proposito, che un recente articolo di Gizmodo afferma di mostrare una queste immagini top secret, ma in realtà si tratta di una foto, la SL2-4-265, scattata dagli astronauti della prima missione Skylab, come del resto suggerito dalla prospettiva dell'immagine, incompatibile con un teleobiettivo per una ripresa da grande distanza.

Il telescopio USAF della Maui Optical Station scattò invece la foto qui sotto dello Skylab visto da terra. La foto è riportata nel libro Brassey's Air Power: Aircraft Weapons Systems and Technology Series Volume 10 - Military Space.



Lo Skylab fu coinvolto anche in un altro episodio segreto. Carr, Gibson e Pogue scattarono delle fotografie che includevano l'area di Groom Lake, in Nevada. Groom Lake è meglio nota come Area 51 ed è il luogo nel quale le forze militari statunitensi sperimentano i propri velivoli di punta, coperti dal massimo segreto. Secondo questo promemoria CIA ora declassificato, l'Area 51 era l'unico luogo al mondo del quale gli astronauti Skylab avevano istruzioni specifiche di non scattare foto (The Space Review).

Per celebrare il quarantennale dello Skylab, il primo grande laboratorio spaziale statunitense, la NASA ha realizzato un breve documentario e un incontro con due dei protagonisti, Owen Garriott e Gerry Carr (uno dei tre protagonisti del primo ammutinamento spaziale, che si verificò nel corso della terza spedizione con equipaggio a causa del sovraccarico di lavoro imposto dalla NASA). Li potete vedere qui sotto.




È interessante il confronto con le attuali attività sulla Stazione Spaziale Internazionale. Memorabili sono inoltre gli aneddoti e gli scherzi realizzati dagli equipaggi nel corso di missioni che segnarono la transizione del programma spaziale statunitense dall'andare nello spazio per una rapida escursione, nella quale si sopporta qualunque disagio, al vivere nello spazio per lunghi periodi, nei quali i disagi possono diventare una barriera pratica e psicologica invalicabile.

Senza l'esperienza dello Skylab e delle stazioni spaziali russe, la ISS non sarebbe stata realizzabile, e la conoscenza degli effetti fisiologici e psicologici di lunghe permanenze nello spazio che si ottiene nelle stazioni spaziali è indispensabile per poter poi intraprendere missioni verso mete più lontane, come Marte o un asteroide.

Il quarantennale del lancio dello Skylab è ricordato da un ottimo articolo su Wired in inglese, riccamente illustrato.

2 commenti:

Vittorio ha detto...

Ottimo articolo, poi lo Skylab è stata una delle missioni spaziali dell'epoca Apollo che preferisco. Solo un piccolo appunto, la didascalia di una foto:
La configurazione prevista per lo Skylab. In realtà uno dei pannelli solari rettangolari non si aprì.
Come hai scritto da un'altra parte non è che il pannello solare fu strappato via?

Paolo Attivissimo ha detto...

Vittorio,

grazie della segnalazione: ho corretto l'articolo.